La (fascio) mafia romana
In questi giorni attorno all'inchiesta della Procura romana si intrecciano interpretazioni e letture stravaganti, chi per interesse, chi per ideologia, chi per superficialità, ognuno tira l'acqua al suo (presunto) molino.
In realtà anche questa è una storia italiana, senza offesa per nessuno, banale nella sua semplicità, banale nei suoi protagonisti e nei suoi sviluppi.
Gli ingredienti sono quelli classici della società civile nostrana, il pomodoro e la mozzarella di bufala della pizza napoletana.
Nel corso degli anni gli Enti locali hanno gestito fiumi di denari pubblici erogando finanziamenti ad opere e progetti, attraverso bandi o altri strumenti ad hoc.
Una classe politica mediocre, se non infima, ideologicamente dura e pura, comunista, si trova ad amministrare fiumi di soldi. E qui interviene il dato soggettivo, la bassezza di taluni esponenti politici si incontra con la mediocre furbizia di piccoli soggetti abituati a vivere nel sottobosco dell'illegalità.
A questo punto ‘magicamente’ si saldano due interessi. Il politico crea consenso al suo partito e bacino elettorale per se stesso (che negli anni trasferirà al figlio, omino destinato a succedergli in tutto e per tutto), la mezza tacca -abituato a muoversi per sopravvivere- salta immediatamente a bordo della barca facendosi alfiere della nuova bandiera (rossa).
Ed ecco che le cooperative che agiscono nel terzo settore vengono riunite in un unico soggetto, una sorta di supercooperativa che si interfaccia con l'ente locale per la gestione dei progetti da finanziare.
La motivazione? Banale, in radice anche corretta: la piccolissima coop non avrebbe nessuna possibilità di esser ascoltata e finanziata dall'Ente locale, morirebbe, mentre se si sta tutti uniti si conta di più! Ed ecco che una motivazione sociale reale, di buona radice, diviene lo strumento principe di controllo e l'asse portante del meccanismo.
Cosa succeda nel corso degli anni è abbastanza facile da intuire. Siamo a Roma, nel cuore dello Stato e di conseguenza nel cuore del parastato, quello vero, quello che conta, quello banalmente definito come Magliana.
Nell'immaginario collettivo la banda della Magliana è un gruppo di killer assatanati, nella realtà quei ragazzi sono piccoli strumenti di poteri forti mandati a fare i lavori sporchi ogniqualvolta venga ritenuto necessario, dal lago della Duchessa, a Pecorelli a tanti altri episodi mormorati ma mai provati e quindi da non citare....
Appunto siamo a Roma, e se il meccanismo di distribuzione dei soldi funziona non può passare inosservato, la città dei palazzinari e del parastato si muove, ingloba, assorbe.
In fondo la democrazia è partecipazione no?
Che qualcosa sia cambiato nel corso degli anni lo si intuisce al cambiar colore delle varie giunte regionali, provinciali e comunali. Gli ingenui che si aspettano la chiusura dei rubinetti per le coop rosse, al salire al potere delle giunte azzurre o nere, constatano che ciò non avviene più, il meccanismo oramai è così ramificato e saldo nelle sue radici da esser stabile, anzi, direi da dare esso stesso stabilità alla politica indipendentemente dai piccoli Lupo Manno che possono arrivare.
E' uno sviluppo particolare, forse anomalo, tipico di questa città.
Poco c'entrano con tutto ciò le cooperative rosse, la Lega delle Coop, Poletti e quant'altro. Quel sistema di potere esiste ed è un problema non indifferente, il PCI e le sue man mano creature politche eredi, hanno utilizzato le cooperative potrei dire a fini personali: le coop in origine sono concepite e normate per permettere ed agevolare una ripresa economica post bellica per un'area di persone veramente di sinistra, cui interessava il lavoro, non come competizione capitalistica, ma come collante di strati sociali attraverso cui produrre e distribuire equamente reddito.
Il PCI invece fa delle cooperative la propria struttura economica attraverso cui esser presente, partecipare e contare nel sistema paese (tutti ricordiamo ‘Abbiamo una banca’), le Coop da piccole realtà diventano gestori di imperi commerciali pur continuando a fruire di un trattamento fiscale scandalosamente favorevole.
A Roma, nel Lazio, piccoli funzionari di partito sottraggono tutto questo al partito stesso, ne fanno una creatura diversa ed autonoma.
Forse oggi diventa più chiaro il perché da parte del PD romano vi sia stata grande ostilità nei confronti del Sindaco Marino, uomo che –pur essendo evidente la sua impreparazione a gestire una città come Roma- slegato dalle dinamiche di partito ha realmente incominciato a sottrarre potere ai soliti noti, forse non del tutto consapevole di quale frana potesse prendere il via.
Perché oggi la magistratura abbia scoperchiato questa pentola è difficile da capire: la Procura romana è seconda solo a quella milanese in quanto a scontri e intrighi, possiamo solo sperare che questa volta prevalga la volontà di indagare, ricostruire, andare indietro nel tempo e cercare le fila di tutto.
Ad ognuno di noi rimane il giudizio su se stesso, sul silenzio che ogni attore ha mantenuto nel corso degli anni, chi per vigliaccheria, chi per interesse, chi perché schiacciato dal ricatto della sopravvivenza, chi per convenienza, donne e uomini, cooperative, movimenti sociali e politici, partiti, chi non ha voluto capire, chi non ha potuto capire, ognuno compartecipe di una realtà evidente.
In questa vicenda c'è l’Italia, il potere degli enti locali nel distribuire denaro a pioggia, il clientelismo creato da questa distribuzione, il voto di scambio che si determina con il (tanto amato da certa sinistra) meccanismo delle preferenze, l'ingegno italiano di piccoli uomini che si buttano dall'una o dall'altra parte politica a seconda di come tiri il vento, il parastato con la sua mediocre e crudelissima manovalanza, l'anima fascista di settori dello stato, la pavidità di alcuni operatori del terzo settore schiacciati dalla necessità di sopravvivere nelle loro attività, il potere economico delle cooperative rosse e il loro utilizzo politico.
C'è davvero l'Italia, tutta, unita, malamente orgogliosa della propria parte peggiore.